L’olezzo Di Un Respiro
1° Classificata
(Enfants sorciers – I figli maledetti del Congo)
Vagano, come ombre di sole
su roventi marciapiedi di città,
i bambini dagli occhi grandi
vuoti di favole e di chimere
appesi ad un fragile stelo
in cerca di una zolla per attecchire
(erbaccia che non vuol seccare).
Bambini dalle piccole ali
che non hanno cieli azzurri da carezzare,
per loro… solo l’alito fetido
del becco adunco d’un tempo rapace.
L’olezzo di un respiro,
in quel continuo annusar di colla,
è il loro pane quotidiano
sbriciolato in una clessidra di sogni.
Sono del Congo i figli maledetti
che nessuno chiama più per nome;
fuggono la furia del bastone
e ancor più la mano che lo regge.
Sono carne fresca lasciata a marcire:
solo poche libbre attaccate all’osso
da svendere all’angolo di una via…
Chi è pronto a comprare?
Ma c‘è chi non s’accontenta
del furtivo assaggio per pochi soldi
e, alla fiera dell’orrore,
ne reclama un ben più lauto pasto:
un occhio, un rene o magari il cuore.
Allestiti sono già gli altari
per il sacrificio degli agnelli
in nome del dio denaro
e il mondo?... Il mondo tace
e sotterra la propria vergogna.
Loretta Stefoni
2° Classificata
Cieli d’infanzia
Immagini assopite
nelle trame diradate
di respiri, di gesti,
di luci, di travi
dentro promesse di sole
e tacite nostalgie.
Ritrovo il tuo volto, madre,
appoggiato alla balaustra ad aspettarmi
o sorridente tornare a casa
con un pane caldo fra le mani.
Cieli d’infanzia nei miei occhi
a rincorrere i lenti vapori dei sogni,
a intrecciare emozioni
sui tuoi capelli dorati.
Ricordi imprendibili riaffiorano
dal libro di preghiere,
dall’ago e dal ditale del cassetto
nel richiamo del tuo profumo,
nella tenerezza silenziosa dei tuoi occhi.
Rimango a margine del nulla,
sull’orlo di ore sgretolate:
sei diventata cielo, nuvola,
alito di vento marino,
piega porporina al tramonto.
Allungo la mano
contro l’uscio deserto,
ma stringo solo un’ombra ramata,
mentre dal vetro sfuma la tua figura
che gioca col tempo
su arabeschi di polvere
e patine d’argentata madreperla.
Catolfi Angela
Ritorno a Lachea
3° Classificata
Da qua salpammo argonauti
di assolate giovinezze ed era la sfida,
l’azzardo oltre i confini dell’isola felice.
Lasciammo ambrate sponde e la promessa
fu rivedere bianche dimore, amori cari,
l’oro dei campi.
Oggi ritorno a te Lachea.
Porto la mia odissea, il peso degli anni
sulle spalle, freddi inverni nelle tasche,
anonime città nel cuore.
Vengo da fabbriche lontane,
da terre di odi e indifferenze.
Giungo dalla solitudine degli uomini
nel disincanto d’una vita di palazzi.
Io non sono l’Ulisse che aspettavi
intrecciando nell’attesa filanti comete,
non ho arco né frecce da scoccare
e porto il sogno svanito di me stesso,
sconfitto guerriero tra capannoni e metrò.
Tu non sei l’Itaca promessa che lasciai
quando i cieli erano a un palmo dalla testa,
gli amici due e infiniti i giardini di limoni,
gelsomini, tre le case sulla piana.
Nessuno più mi riconosce
e altri cementi coprono campagne;
infinite processioni di migranti
toccano la riva, gridano fame e libertà.
Finisce qui la nostra storia.
Noi tramontiamo, dimenticate stelle
in un aroma antico di zagare,
nella meraviglia dei giorni che ci videro
luminosi approdi e avventurosi eroi.
Carmelo Consoli
I figli della guerra
Da finestre sospese nel nulla, 4° Classificata
giovani occhi mediorientali
si consumano d’angoscia
spiando inquieti l’orizzonte.
Il nemico è ovunque!
E aspetta paziente, nell’ombra,
come l’avvoltoio nel cielo, aspetta, aspetta,
di mandare il suo messaggio di morte
all’ignaro che dovrà raccoglierlo.
Uomini dove siete?
Ecco! Ad un tratto un crepitio
annuncia la fine di un respiro,
lo spezzarsi di una vita,
poi, un boato risponde, spezzando
altre vite, in un lugubre gioco senza fine.
Eppure, inerme di fronte all’abisso,
una piccola mano cattura una palla.
La lancia! Altre piccole mani la possiedono,
la fanno rotolare e, colme di gioia,
la restituiscono all’amico che insegue.
I figli della guerra sono aquiloni impertinenti
che sfuggono alle mani delle madri
divorate dall’ansia di perderli.
E come aquiloni, accarezzano il vento,
saziandosi della loro incerta libertà
e prendendosi gioco del destino,
finché, un altro crepitio li riporta sulla terra,
segnando la fine del volo, e del tempo.
La palla però continua a rotolare, ha un’anima sua,
slegata dal suo provvisorio padrone.
Trasportata da rigagnoli rossi
di cui il suolo si nutre e prende vigore,
scivola leggera tra nuove rovine
e corpi informi ormai privi di umanità,
cercando un’altra mano che la stringa.
Su questa terra tradita, devastata, umiliata,
su questa terra che non è più nostra
e dove l’innocenza è un’utopia,
ormai nulla ha più senso, a parte il dolore,
o il rotolare di una palla.
Giuseppe Leuzzi
Premio Speciale Della Giuria
La gabbianella
Dormivi su quella culla di onde, i capelli d’ebano sfiorati dalla
brezza, la fronte fredda che odorava di salsedine, gli occhi
grandi perduti nel profondo blu del cielo. Nessuna storia sul
tuo volto bruno, uno come tanti, nell’immensa solitudine del
mondo. Stringevi in una mano un amuleto e nell’altra venti euro
arrotolati in una bandierina tricolore. Portavi un sacchetto di
sabbia del tuo deserto, legato ai fianchi da un cordino, sull’abito
bianco ricamato a fiori. Ma al buio, il mare aveva ruggito come
un leone e inghiottito in un baleno il barcone, col suo carico di
vite e di dolore. I tuoi anni di donna bambina, chiusi in una plastica
che coprirà per sempre una coltre fitta d’inganni e di paura.
Avevi visto in sogno il paradiso di Lampedusa, Pantelleria e Sicilia
e desiderato arrivarci a tutti i costi, per fuggire dall’inferno della
miseria e della guerra. E poi sei volata leggera, finalmente libera come
nelle fiabe, bianca gabbianella, là dove l’orco è sconfitto e l’amore
trionfa, dove Dio ha preparato per te e per il piccolo fiore del tuo
grembo, che non sboccerà mai, una culla d’oro, nell’immensa spiaggia
del cielo terso. Là dove non si chiedono documenti, la pelle è incolore e
le lacrime sono solo polvere di stelle. Ragazza ignara, che più non hai
memoria di quel mare che tu credevi amico, che prima ha carezzato il
tuo corpo ancora acerbo, per poi violarlo, facendone giunco sottile,
martoriato nella sabbia. Non abbiamo potuto tessere parole né disegnare
rotte per farti giungere all’agognata meta. Avremmo voluto regalarti il
calore di una fiamma nel freddo della notte, lenire il dolore di chi non ha
più nulla. Vibra la tua anima nell’urlo della schiuma sugli scogli, sotto un
cielo senza sole e senza amore, nella struggente sfida alla tempesta.
Ora che il tempo tutto è consumato, di te ci resta il tuo silenzio, lama
di fuoco a mutilare il fremito lieve di sogni colorati. Bianca gabbianella,
piccola mendicante di libertà, d’amore e di illusioni.
Rosanna Gabellone
Sezione B. Poesia Giovani
Una vita spezzata
1° Classificata
Aprendo la porta andò verso la vita,
per esserne travolta;
il pensiero non l’aveva investita,
che potesse esser l’ultima volta.
Passeggiava senza fretta,
gioie e preoccupazioni parecchie;
come i giovani era stretta
dalla musica nelle orecchie.
Correndo dietro ai suoi pensieri,
non vide di attraversar un binario;
non accade spesso, ad esser sinceri,
ma il treno quel giorno era in orario.
Giunse con forza dilaniante,
stravolse con violenza quella vita,
quell’esistenza esuberante:
vi pose fine con crudeltà inaudita.
Dicono sia colpa del destino,
di distrazione o sorte;
non lo so, ma a lei vicino
era quel giorno la morte.
Così vicino da portarla via,
strapparla a cari ed amici,
per condurla, sia dove sia,
in un posto dove s’è più felici.
Ma un po’ di felicità
a diciannove anni
poteva trovarla anche qua,
coi suoi dolori, gioco o affanni.
Rimane il ricordo dei begli occhi blu:
però lei, ora, non c’è più.
Leonardo Dona’
Tra Sogno E Realtà
2° Classificata
In quella alta collina,
immersa tra i fiori,
io ero sola e abbandonata
nei miei pensieri.
La luce del sole splendente
riscaldava i gelidi cuori
di tutta quella gente
che vedevo laggiù…
delle persone tristi, senza tetto,
che vivevano nelle panchine,
tra le vecchie e desolate vie ,
delle periferie della città…
In quel luogo meraviglioso,
distante da tutti e da tutto,
sentivo il sole su di me,
splendevano i miei capelli dorati.
I miei occhi luminosi,
brillavano di gioia e di dolore.
Pensavo all’amarezza di chi è solo,
pur in mezzo alla folla.
Gli uomini vogliono tutto per sé,
ricercano avidamente soldi e potere,
e dimenticano di essere fratelli,
rimanendo indifferenti a chi tende la mano.
Ma, in quell’istante ,
venne un vento impetuoso e caldo
che sparpagliò i miei pensieri
e riscaldò il mio cuore tremante.
Mi ritrovai piccola e giocosa,
non più pensosa,
mi arrampicai all’amico albero,
mi rotolai nella madre terra;
giocai con le compagne foglie,
rincorsi le farfalle colorate,
vidi gli scoiattoli raccogliere le ghiande
per i propri teneri piccoli.
Il mio cuore si riempì di gioia e di stupore,
e io mi persi nel mio sogno,
inebriata dai profumi della natura,
incantata dal cinguettio degli uccellini.
Silvia Cucuzza
L’Alba
3° Classificata
Nasce lentamente…
tra le cime addormentate
e lo scrosciare dell’acqua dei ruscelli.
Io assopita nei pensieri
guardo Te, Verbo Infinito
che appari lentamente
e scompari al tramonto
tra il mugghiare del mare
e le rondini stanche che tornano ai loro nidi.
Non Ti vedo,
ma Tu vedi.
Anche se Te ne andrai
e un giorno ritornerai,
io saro li’ ad aspettarTi.
(Attianese Silvia)